Misgendering + termini derogatori

di TransMediaWatchItalia|Pubblicato 

Al primo posto tra gli errori che si leggono sulla stampa italiana troviamo il misgendering ovvero l’appellare la persona trans con l’articolo, la desinenza, il pronome che non corrisponde alla sua identità di genere. È un modo indiretto per non riconoscere e mettere in discussione l’autenticità delle persone trans che non è più accettabile.

A chi non lo sperimenta su di sé, può sembrare un dettaglio da poco ma venire chiamat* (ripetutamente) con la desinenza o l’articolo errato può indurre disforia (il profondo disagio che la persona prova per alcune parti del proprio corpo), può far sentire le persone in pericolo (le donne trans vengono uccise e picchiate perché non sembrano abbastanza donne) ed è una forma di crudeltà inutile e una mancanza di rispetto.

C’è una minoranza di giornalisti che si ostina ad usare articoli/desinenze errati e a sminuire le difficoltà di proposito, per passare il messaggio che la biologia sia l’unico dato rilevante. Per biologia di solito si intendono gli organi genitali. Come fa notare Laura Scamorcin, il corpo non si limita mai ad essere quello che è, ma viene caricato di significati, continuamente. Dal razzismo, al cis-etero-sessismo, quello che ci rende chi siamo oltre al tipo di corpo col qualche casualmente siamo nat*, è quanto facciamo nostri i significati. L’ideale insomma, sarebbe prendere un po’ meno sul serio i genitali e un po’ più sul serio il senso civico.

Suggerimenti:

  • Al posto di “Il trans/l’uomo” usate  “la donna trans
  • Al posto di “La trans/la donna” usate “l’uomo trans
  • Per le persone non-binary/genderfluid che sono trans usate “la persona trans

Transgender è un aggettivo, non un nome ma se proprio si vuole usarlo come nome almeno l’articolo e la desinenza giusti sono fondamentali.

Il secondo errore più comune riguarda le storie che coinvolgono prostituzione/sex-work. In quel caso un termine usato normalmente è un termine fortemente derogatorio, sia in italiano che in brasiliano: viados. L’etimologia riporta il termine da un lato ai cervi che pare si accoppino spesso tra maschi oppure all’abbreviazione di transviado che significa pervertito. In ogni caso è fortemente derogatorio (ripetita juvant) e da evitarsi a tutti i costi. Racchiude lo stigma verso il sex-work, la provenienza sudamericana e un’identità maschile (che non corrisponde necessariamente all’identità di terzo genere o di genere femminile che di solito questa popolazione sente di essere).

Nessun quotidiano offenderebbe una persona diversamente abile definendola “mongoloide” o “storpio”, non si capisce perché la stampa continui ad usare termini stigmatizzanti come viados per le persone transgender. Nella nostra esperienza, spesso vengono riprodotti i termini usati in questura, che è ancora più grave perché lo stigma arriva dalle istituzioni.

A volte viene usato anche un termine in disuso come travestito che richiama al fatto che travestirsi sia diverso dall’essere. È corretto usare travestito solo quando la persona stessa si riferisce a sé con questo termine, altrimenti è da evitarsi e si può al limite sostituire con “crossdresser” o drag artist se si tratta di un’artista (per esempio Conchita Wurst) che si sta esibendo con un personaggio femminile ma che normalmente nella vita di tutti i giorni si sente uomo.

Come comportarsi quando si coprono notizie estere in cui la parola travestito non ha una connotazione negativa? In Brasile, ad esempio, travesti non è un termine problematico. Conviene esplicitare questa differenza linguistica nell’articolo se si intende usare il termine.

È capitato di trovare un titolo con la parola “travesticidio” riferito ad una donna trans. Un omicidio di una donna si chiama già femminicidio. Viene già usato, anche in Brasile, anche per le donne trans. Usare il termine “travesticidio” senza esplicitare la differenza linguistica, rimanda al termine travestito, non a travesti.

Una parola che non presenta problemi in Italia è transessuale. Nei paesi anglosassoni “transexual” viene considerato in disuso e usato solo da poche persone, perché non ritengono abbia senso distinguere le persone in base alla transizione, ma in Italia questa distinzione sembra avere ancora senso. Al suo posto nei paesi anglofoni viene usato prevalentemente transgender che è anche un termine generico.